So’ doje sore: ‘a riccia e a frolla.
Miez’a strada, fann’a folla.
Chella riccia è chiù sciarmante:
veste d’oro, ed è croccante,
caura, doce e profumata.
L’ata, ‘a frolla, è na pupata.
E’ chiù tonna, e chiù modesta,
ma si’ a guarde, è già na festa!
Quann’e ncontre ncopp’o corso
t’e vulesse magnà a muorze.
E sti ssore accussì belle
sai chi so’? So’ ‘e sfugliatelle!
Di Claudio Ciaravolo
Ma qual è la sua storia?
Beh, qualcuno racconta che una prima versione di sfogliatella sia stata sfornata nel Convento della Croce di Lucca a Napoli, ma la realtà dei fatti ci conduce nella provincia salernitana del 1600 e, più precisamente, a Conca dei Marini, in Costiera Amalfitana.
La leggenda narra, infatti, che un giorno di 400 anni fa, nella cucina del Monastero di Santa Rosa, un’abilissima monaca pasticcera decise di riutilizzare creativamente un rimasuglio di latte e semola, aggiungendogli qualche goccia di liquore al limone – probabilmente un antenato del limoncello – e un po’ di frutta secca. Pose, poi, il composto tra due sfoglie di pasta, arricchite con strutto e vino bianco, lasciate a dorarsi nel forno a legna con la forma di un cappuccio di monaco.
Le cose migliori nascono spesso fortuitamente e, anche in questo caso, la meraviglia che scaturì da una ricetta del tutto improvvisata fu tale da entusiasmare la Badessa che, con una primordiale manovra di marketing, decise di intitolarla a Santa Rosa e di distribuirla gratuitamente proprio nel giorno di celebrazione della santa protettrice dell’ordine, all’epoca il 30 agosto . Gli abitanti della zona amarono fin da subito quella dolce novità che, nel tempo, fu rimpinguata con ricotta, crema e amarene.
A poco a poco, la fama della Santarosa si diffuse in tutta la regione e nel 1818, a 150 anni di distanza dalla prima infornata, un oste napoletano, tale Pintauro, venne misteriosamente in possesso della ricetta segreta e, modificandone il contenuto, inventò l’odierna sfogliatella napoletana nelle sue varianti riccia e frolla.
Ti piace riccia o ti piace frolla?
La sfogliatella riccia è sicuramente la versione più conosciuta ed apprezzata del dolce partenopeo. Con la sua caratteristica forma a conchiglia, con strati finissimi di pasta sfoglia dorata e lavorata da maestri pasticceri, risulta croccante ma con un cuore tenerissimo di semola, canditi, latte uova e zucchero.
La sfogliatella frolla, invece, si presenta tonda, più scura, ricoperta da zucchero a velo e realizzata con una delicata pasta frolla al cui interno di trova la stessa farcitura presente nella riccia. Di più semplice realizzazione si presta maggiormente alle edizioni casalinghe.
È ancor oggi in produzione l’originaria sfogliatella santarosa, ripiena di crema pasticcera e rifinita da crema di amarene.
È possibile acquistarla in molti bar e pasticcerie napoletane dove si trova spesso insieme alla sfogliatella a coda d’aragosta – chiamata così per la forma allungata – che è solitamente farcita con cioccolato o crema chantilly.
A Napoli la sfogliatella, solitamente riccia o frolla, viene sfornata senza sosta, dalle prime luci dell’alba fino all’imbrunire e viene offerta calda, fragrante di fiori d’arancio. Un’esperienza sensoriale unica che ha spinto i napoletani alla creazione del famoso detto popolare
“Napule tre cose tene belle: ‘o mare, ‘o Vesuvio, e ‘e sfugliatelle”.
Dove gustare un’ottima sfogliatella a Pompei
Fonte Google Immagini
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